Brigantaggio: Nunziato Di Mecola

La storia del “brigantaggio” è molto complessa da comprendere. Noi ricercando nei vari archivi notizie che riguardano Giuliano Teatino ci siamo imbattuti in questo personaggio Nunziato Di Mecola, un contadino nativo di Arielli (Chieti), che tra il 2 dicembre 1860 e il 6 gennaio 1861 capitanò una banda armata capace di trascinare con sé centinaia e centinaia di abitanti dei comuni contigui, mettendo a ferro e fuoco la provincia chietina in nome della restaurazione del governo borbonico di Francesco II.

Briganti prigionieri in posa (Archivio di Stato di Torino, raccolta Caviglia).

La stessa Arielli, nonché Ari, Miglianico, Tollo, Orsogna, Giuliano Teatino e altri comuni contigui vennero scossi dalle gesta di quelli che immediatamente vennero definiti “briganti”, contribuendo a creare un’ondata di ribellione all’annessione dei territori meridionali al Regno d’Italia: dall’estate del 1860 a tutto il 1861, infatti, si susseguirono in tutto il Sud numerosi moti popolari (la “reazione”) in favore della decaduta monarchia borbonica, accompagnati da saccheggi, vendette private e omicidi.

21 dicembre la banda Mecola compì una serie di scorrerie nei vicini comuni, nei quali si ripeté sempre il medesimo schema: la “truppa” giungeva nel paese dopo essersi assicurata, anche tramite corrispondenza, di essere ben accolta dalla popolazione. Si procedeva poi al disarmo delle Guardie Nazionali, si rialzavano rapidamente gli stemmi borbonici, si celebrava una messa in onore di Francesco II, e infine si assaltavano le case dei possidenti locali (conosciuti come di parte liberale), aprendone le porte al saccheggio da parte dei paesani, ma pur sempre dopo che la banda avesse preso le cose migliori. Il 21 dicembre toccò ad Ari, il 24 a Canosa Sannita e Vill’Arielli (attuale Poggiofiorito), il 27 a Tollo, dove collaborarono due ex gendarmi borbonici, il 28 ancora ad Arielli e il 31 a Miglianico e Giuliano Teatino. Ari una delle maggiori vittime fu il sindaco, il dottore don Giuseppantonio d’Alessandro, zelante liberale artefice, a suo dire, del successo del plebiscito nel suo paesino [Martucci 1980, 262-280]. La massa rivoltosa iniziò il saccheggio della casa, dopo averne sfondato le porte, «rubando in danaro effettivo la somma di Ducati 400 circa tra rame ed argento; nonché oggetti d’oro […], come pure gli oggetti di argento, le biancherie tutte, e coverte che vi si rinvennero», e infine sottrasse vino, olio e grano dal magazzino. Prima di lasciare le porte spalancate alla “turba” di contadini, Nunziato Di Mecola e i suoi compagni avevano già preso i pezzi più pregiati, costringendo d’Alessandro a prostrarsi ai loro piedi, malmenando la moglie e strappando i baffi al figlio. Terminato il saccheggio del palazzo del sindaco, la massa si rivolse al magazzino del Monte Frumentario, dal quale vennero trafugati generi appartenenti al d’Alessandro, ma venne portato via in parte anche il grano appartenente al Monte, non essendo stato possibile contenere la furia dei paesani. In tutto ciò gran ruolo ebbero i contadini del posto, tra cui in particolare tale Emidio Di Bene, «mosso da particolari vedute d’interesse, per le quali amava sbarazzarsi del predetto d’Alessandro, il solo che gli era stato d’inciampo nell’affitto di beni del barone Nolli a cui egli agognava»

estratti da: Bandito o brigante? Il caso di Nunziato Di Mecola nella provincia di Chieti (1860-63) di Giulio Tatasciore

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